• Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
 
Minimali Arrosti

Minimali Arrosti

Scritture semiserie di Michele Masotti
  • Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
  • Impressioni

Minimali Arrosti

  • Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
  • Impressioni

In Racconti

Un tipo strano

12 Novembre 2017

He was a most peculiar man…
Simon & Garfunkel

Luigi Strozzi era un tipo strano. Ormai settantenne, aveva lavorato una vita alle Poste e dopo quell’intera esistenza al pubblico, adesso non parlava più con nessuno. E comunque quello non era stato un vero parlare, diceva tra sé.
Abitava in una vecchia casa nella zona est della città, dove le abitazioni buie erano pigiate l’una sull’altra, come soppresse verso la valle. Tutti lo conoscevano nel rione ma i più lo schivavano. Si diceva avesse un fratello più giovane da qualche parte, che però non sentiva da anni per via di un’eredità che aveva provocato gravi dissidi. Era solo.

Quando passava per le stradine del quartiere, i ragazzini, che su di lui avevano inventato storie terribili, scappavano in un misto di divertimento e timore, urlando in modo stridulo il suo nome: “Grigio” lo chiamavano; lui ne soffriva.
Anche nel condominio di casa non considerava né era considerato da nessuno: le studentesse al piano di
sopra quando lo incrociavano tiravano dritto. Con la dirimpettaia poi c’era un’antipatia reciproca. A dire il vero la signora Regoli, dell’ultimo piano, lo salutava e lui ricambiava sempre con un cenno, perché una volta, dovendo montare un’antenna ed essendo l’appartamento della donna l’unico con l’accesso al tetto, era stato costretto a relazionarcisi. La Regoli però era incuriosita dal Grigio e quando ogni sera lui scendeva alla fonte sotto casa per dar da mangiare ad alcuni gatti randagi, lo spiava dalle persiane socchiuse. E continuava poi, nascosta dal tendaggio di camera, a sbirciare nella piccola corte interna al palazzo e che immetteva, tramite una finestrella sempre aperta, nell’andito dello Strozzi. La Regoli spiava, lui sedeva a un vecchio tavolo, spesso facendo roteare una trottola su di un pianale: un regalo che avrebbe dovuto dare anni addietro al nipotino, il figlio di quel fratello col quale ormai non parlava più. Di tanto in tanto il vecchio si voltava per guardare se l’inquilina lo controllasse. Lei gli sorrideva fingendo di fare altro.
Le voci del rione volevano che i due stessero insieme per via di quella solitudine condivisa. E le amiche della Regoli le suggerivano proprio quella compagnia, quand’anche lo trovassero un tipo bizzarro.
“Ma se neppure mi saluta – ribatteva – Poi, per quel che m’importa!” Invece era
dispiaciuta.

Un anno venne un inverno freddo come non se ne ricordavano da decenni. La Regoli non
usciva neppure di casa, ma una sera bussò alla porta dello Strozzi. Si sentiva così sola che azzardò di poter vedere un film insieme; c’era un vecchio western e in più, accennando un mezzo sorriso,
disse di avere dei cioccolatini. Luigi rifiutò in modo cortese ma deciso.
Passata mezz’ora però se ne pentì e si presentò al pianerottolo della donna. Stette lì dieci minuti senza sapere il da farsi, sudava e quella situazione insolita lo metteva a disagio.
La Regoli sentì i passi e aprì la porta. Lo Strozzi era impettito, livido in volto. Senza che si dicessero niente l’uomo entrò in casa e si misero in silenzio a vedere il film. Di tanto in tanto mangiavano i cioccolatini; li prendevano senza guardare la scatola che tenevano sul divano, come divisorio, coprendosi poi le gambe con una coperta a quadri tutta lisa.
I giorni dopo si ritrovarono, sempre di sera, sempre da lei: guardavano qualcosa alla televisione e stavano tutto il tempo zitti. La Regoli era al settimo cielo ma non lo raccontava a nessuno. Credeva di aver trovato finalmente qualcuno da amare o almeno, data l’età, che le facesse compagnia. Lo Strozzi faceva finta di niente ma era felice anche lui. Adesso non gli importava più della gente, del fatto che tutti lo schivassero, che lo considerassero “strano”, che i bambini gli urlassero dietro inutili cattiverie.

Un mattino alla fine dell’inverno uscì e comprò lui una scatola di cioccolatini, pensando così
di far felice la Regoli. La sera stessa si mise una giacca di fustagno chiusa nel cellofan da decenni.
Alle nove in punto era davanti al pianerottolo come faceva sempre, ballettando nell’attesa che la donna
gli aprisse la porta. Passò un’ora, niente. Così tornò a casa e andò a dormire.
Il giorno dopo, dalle scale, sentì una studentessa conversare con la tabaccaia di fronte,
parlavano della Regoli: era morta il giorno prima per un attacco di cuore.

Il giorno seguente vi fu il funerale. C’era una vecchia che poggiava il capo sulla spalla di un’altra; erano le amiche e piangevano riparandosi dietro un trittico di cipressi perché il vento non le sferzasse. E c’era lo Strozzi, solo lui. Il Grigio indossava un vestito nero che luccicava nell’aria marzolina. Quando la bara fu calata nella terra, Luigi vi adagiò sopra la sua trottola e se ne andò.
Tornò a casa passando dal rione; per strada c’erano tre o quattro ragazzini. Lo videro e fuggirono via urlando. Dio, come li odiava! La sera non si era ancora tolto il vestito, si mise alla televisione e mangiò tutta la scatola di cioccolatini che aveva comperato il giorno prima.

Passò del tempo e da un giorno a un altro non si vide più, nessuno seppe più nulla di lui.
All’inizio, nel quartiere ci si chiedeva che fine avesse fatto il Grigio, raccontando storielle misteriose ma tutto sommato di poco interesse. Qualcuno diceva fosse morto, ma un tizio che lavorava in Comune smentì la voce, non avendo letto alcuna notifica. Così fu convinzione dell’intero quartiere che si fosse trasferito.

“Che vergogna. Nemmeno ci ha salutato.” Si diceva parlandone.
Ma, dopotutto, non era un tipo strano?!?

 

 

Non ci sono commenti

Lascia un commento

Articolo precendente

La notte di San…

In Poesie

La notte di San Lorenzo

Leggi

Prossimo articolo

Siena trecento anni dopo: il…

In Racconti

Siena trecento anni dopo: il pupazzo

Leggi

Credo che l’uomo viva nel bisogno di raccontare e ascoltare storie: la propria, quella degli altri, quella di un dio. Così da sempre, forse per sempre. Probabilmente il non-senso della vita è racchiuso nel paradosso della scrittura: possedere estrema chiarezza ed estrema finzione al tempo, così che nelle sue affascinanti acque d’inchiostro non ci si stanchi di nuotare. Almeno a me fa questo effetto

Categorie

  • Civitas
  • Impressioni
  • Poesie
  • Racconti
  • Società
La risposta da Instagram ha restituito dati non validi.
La risposta da Instagram ha restituito dati non validi.
Minimali Arrosti

© 2025 Minimali Arrosti | Privacy Policy | Cookie Policy

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkCookie Policy