Ragazzina
legge poco
e indossa i mesi,
Siena sulle ginocchia,
semmai felice
di un fazzoletto vago e un vago miele,
il Palio agita mulinelli e pezzi
di vetro, da sgolarsi.
Una madre, hai visto, scianguina
dai fianchi a campagna
distesa per fuggire
dal Palio d’Ottobre.
Ma le tue occhiaie
di sogni
e cicale spente le ho sentite,
i bei mattini ubriachi sui rivoli
tutti passati, dopo la Prova;
ma al Palio, non vorrei chiedergli
più nulla
se non schiantarlo di calci come
si fa coi randagi,
come le colonne d’asini, morti sul Carso,
un parapetto esploso
sui ragazzi marci del fronte.
Un cavallo di stenti,
Piazza naufraga,
solite bestie
solite bestie.
Il Palio si piange da vivi
come la guerra.
Seppellitemi più lontano possibile,
in un crinale pettinato
male ammucchiato
di cadaveri,
scordata la buca di Piazza,
nel silenzio d’una stradina.
dentro Gorizia.
Gli imperi vanno,
seppellitemi
nel cimitero inglese di Luserna
o in un canto di contrada.
Civetta in volo cieco su Trento,
o vampa di gas nel collo di Drago.
La Torre irta di nebbia
in fiamme su Verdun.
Chiocciole, a migliaia in primavera sul vallone
trincerato.
Il Monte Pasubio
scarno, l’Onda tremula
della Mosa,
un drappo assolato
e Lupa, Lupa versa
latte sulle gavette di fango.
L’Aquila in piume rotte
diserta
sul cielo bianco e
verso le pire degli spettri,
il Bruco piombato è
a Pietrogrado.
Tutti quelli che conosco
moriranno e sono morti,
la bambina
di Piazza che aspetta
l’urlo mai giunto,
e sentire il soldato
a pupille nerissime
tenersi i visceri sbuzzati
colle mani,
quella bambina
nicchiata in chiesa, impazzita
sul cavallo morto
al solicino di San Martino:
tutti che avevano in mente
solite bestie,
con la carne rosa
e grinzosa la
vita e un tarlo:
‘Dove sei mamma?”
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