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In Civitas

Il Palio stuprato (ai giovani)

16 Ottobre 2018

 

Ragazzi dal guscio bianco,
rubate il Palio appena vinto,
stanotte!
In una cerniera chiusa dai vapori adolescenti,
afferratelo con l’unghie di tabacco.
Fiaccole e vorticosi istanti
nascondete il panno
alle vecchie laide, ai maggiorenti
ai trionfi del fantino.
Rapito e ammontinato, un sacco,
straccio e cadavere,
eccovi svelti ai campi aggomitolati
di foglie marce
poco fuori Siena,
sotto una querce immensa
e che nessuno vi veda piangere, Cristo!
Stiratelo a terra specchio al tappeto di stelle,
coperto di fiori e fango,
l’umidore d’ottobre faccia bruma
e dissetatevi, imbrattate la tela
di vino e col sangue di polsi
e zoccoli rotti d’animale.
Col sangue vostro.

Mentre la città d’altri brucia
per le contrade morte, e il frullio delle
bandiere l’ultima piazza carezza,
il Palio corso oggi è uno scarto,
già decrepito, muffa
di tuberi affiorati al tufo, cavalli
e cavalieri confitti
a coppie
sulla palizzata del Casato.

Quella ragazza! E il suo amore
di fianco, digrumate il drappellone,
nessuno potrà biasimarvi se
col coltellino nascosto
sotto il banco di scuola
caverete ora gli stemmi
del Comune e del Popolo!
Nessuna censura, sputate e torcetevi,
le vostre nocche dure
reclamano una vita che negli altri
è solo pietà.
Sapete che per questo stesso pugno
di sangue, sapete come si è ridotto
il bambino che diceva: ‘C’è tempo’?

Tra poco sarete curvi e pieni di sonno,
si farà giorno. Tornate al primo sole
coi piedi feriti dentro la collana
di mura del gigante ebete.
Oggi tormentano i tamburi
della vittoria, lacero è il vostro cencio
come un vecchio amore stanco,
uno stormo, un pentimento.
“Ecco brava gente,
tenete il vostro feticcio borghese,
lo abbiamo stuprato
di troppo amore;
ora è pronto per andare a spasso,
e stare in una chiesina
di fianco all’incensiere,
o spettro
da pregare.
In un museo.”

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Credo che l’uomo viva nel bisogno di raccontare e ascoltare storie: la propria, quella degli altri, quella di un dio. Così da sempre, forse per sempre. Probabilmente il non-senso della vita è racchiuso nel paradosso della scrittura: possedere estrema chiarezza ed estrema finzione al tempo, così che nelle sue affascinanti acque d’inchiostro non ci si stanchi di nuotare. Almeno a me fa questo effetto

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