Pioveva.
Senza che vi fosse alcunché di certo la notte stava finendo e scampanava per la via qualcosa come un lume flebile. S’era di maggio e Siena tutta, coperta di lembi, provava a nascere. I due vagavano tra il Duomo e Via del Poggio: sguaiati, pencolanti, avendo falcidiato le ore buie con quelle storie su come Siena cambiasse, in peggio, per uno, per l’altro restasse invece immobile, restia al mondo. E nessuno era soddisfatto. Le ombre cadevano dal vecchio Spedale e fin sotto i Fusari, di là, alle case lontane di San Pietro, nebbiose dei velari d’acqua. Dovevano andare a letto, eppure continuavano:
“Ricordo quand’ero ragazzo che qui al Duomo… allora era tutto diverso… il rione poi… ” Sosteneva l’inconsolabile.
“Il mondo va così e sarebbe bene adeguarsi. Invece siamo sempre rivolti al passato. ” Incalzava l’irrequieto.
Ognuno aveva a noia i discorsi dell’altro, non si ascoltavano, si interrompevano e su tutto era disagio e discordia. Parlava la sbornia. Un venticello intanto spazzava la piazza, loro due nascosti sotto le arcate dell’OPA, le uniche scoperte e scarne di mattoni postumi; così non si avvidero del giorno.
L’alba allora prese a schiacciar via la notte, come si fa con un sughero pigiato nella bottiglia. Ed era questo il mistero del tempo, lo stesso poi che Siena ricalca per una strana malia: come nel divenire incipiente alcune cose restino tali, così che gli anni scorrano, eppure ogni inverno, ogni primavera appaia identica. E la città vecchia e turrita ugualmente si preservi coi suoi sogni secolari, le storie sul gonfalone, tutto però inevitabilmente intriso di futuro.
Sicché la ragione apparteneva simultaneamente ai due discorsi senza che loro lo capissero.
Si attende la novità che però qui è l’eterno ciclo. I braccialetti ai muri, di nuovo, i circoli gremiti dopo i pochi avventori dei mesi zitti, i ragazzini e il Palio a corsa, i giovani e l’amore… a corsa, per vicoli antichi animati e ugualmente muffiti.
Un mese, due, ed ecco che tutto sparisce in un tempo breve. Ecco l’ultimo giro, l’autunno batte la sua ora prima sulla città che altrove. Nel momento di fine agosto, un mortaretto consuma la vita, tacciono i balconi, i rioni svuotati tornano al torpore. Ancora un turno di ruota, tutto immobile ma proteso in avanti, al sogno ciclico.
Nel lucore che palpitava sulla piazza, una bandiera gialla, voltolata d’acqua primaverile, batteva nel vento del primo mattino. E fu emblema tangibile della ragione di entrambi: secoli immobili e nuovi presagi, al tempo stesso.
“Quanto manca al Palio?” chiesero insieme.
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