Ragazzi dal guscio bianco,
rubate il Palio appena vinto,
stanotte!
In una cerniera chiusa dai vapori adolescenti,
afferratelo con l’unghie di tabacco.
Fiaccole e vorticosi istanti
nascondete il panno
alle vecchie laide, ai maggiorenti
ai trionfi del fantino.
Rapito e ammontinato, un sacco,
straccio e cadavere,
eccovi svelti ai campi aggomitolati
di foglie marce
poco fuori Siena,
sotto una querce immensa
e che nessuno vi veda piangere, Cristo!
Stiratelo a terra specchio al tappeto di stelle,
coperto di fiori e fango,
l’umidore d’ottobre faccia bruma
e dissetatevi, imbrattate la tela
di vino e col sangue di polsi
e zoccoli rotti d’animale.
Col sangue vostro.
Mentre la città d’altri brucia
per le contrade morte, e il frullio delle
bandiere l’ultima piazza carezza,
il Palio corso oggi è uno scarto,
già decrepito, muffa
di tuberi affiorati al tufo, cavalli
e cavalieri confitti
a coppie
sulla palizzata del Casato.
Quella ragazza! E il suo amore
di fianco, digrumate il drappellone,
nessuno potrà biasimarvi se
col coltellino nascosto
sotto il banco di scuola
caverete ora gli stemmi
del Comune e del Popolo!
Nessuna censura, sputate e torcetevi,
le vostre nocche dure
reclamano una vita che negli altri
è solo pietà.
Sapete che per questo stesso pugno
di sangue, sapete come si è ridotto
il bambino che diceva: ‘C’è tempo’?
Tra poco sarete curvi e pieni di sonno,
si farà giorno. Tornate al primo sole
coi piedi feriti dentro la collana
di mura del gigante ebete.
Oggi tormentano i tamburi
della vittoria, lacero è il vostro cencio
come un vecchio amore stanco,
uno stormo, un pentimento.
“Ecco brava gente,
tenete il vostro feticcio borghese,
lo abbiamo stuprato
di troppo amore;
ora è pronto per andare a spasso,
e stare in una chiesina
di fianco all’incensiere,
o spettro
da pregare.
In un museo.”
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