• Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
 
Minimali Arrosti

Minimali Arrosti

Scritture semiserie di Michele Masotti
  • Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
  • Impressioni

Minimali Arrosti

  • Michele Masotti
  • Civitas
  • Poesie
  • Racconti
  • Impressioni

In Racconti

Il primo bacio (sotto la neve)

28 Febbraio 2018

 

Tutte le amiche sostenevano che il primo bacio fosse una cosa da niente. Facile, per loro che ci sono già passate, pensava lei.
Per Annalisa invece era qualcosa di angosciante e incerto. Immaginava se stessa, tredici anni compiuti da un mese, come alla deriva su una zattera che cavalca un fiume tutto nero, e ai lati del fiume, sulle sponde, una fila d’alberi di cristallo che contribuivano ancor di più a illuminare il gorgo livido delle acque. Ecco la metafora, mescolando le proprie paure per quel bacio, all’immagine di un film visto la sera avanti, prontamente risognato.

Quella mattina di fine febbraio era posseduta da una paura bestiale e sconosciuta che la irrigidiva. Appena sveglia andò dalla mamma:
“Com’è il primo bacio?”
“Niente di che Anna – continuando a preparare il caffè – casomai chiedimi com’è la prima volta. E comunque tieni la bocca chiusa!”
Annalisa si fece tutta rossa in viso, prese lo zaino e fuggì in strada.
Ma cos’era che le faceva credere che fosse inevitabilmente giunto il fatidico momento? Ci pensava mentre attraversava Via Roma, diretta a scuola.
Ebbene, due giorni prima si era fidanzata con Gianni, un ragazzo di classe sua. Un tipo gracile e col viso rotondo da bambino, caratterialmente all’opposto di come si presentava esteticamente. Molto spigliato e disinvolto in verità, ottimi voti a scuola senza però essere un secchione (un miracolo, pensava lei), in più con le ragazzine ci sapeva fare. Nel primo mese di scuola si era messo con una di terza, un anno dunque più grande loro. Di certo con quella non sarà certo rimasto a guardare, si saranno baciati.

Annalisa era bella ma si sentiva orribile, specie per quella sua insicurezza. Adesso che si era fidanzata da una settimana, era scossa da due sentimenti opposti: la voglia di vedere Gianni, di starci insieme, di baciarlo proprio. E all’opposto la paura di lui, della sua pelle, il fatto d’essere ancora troppo piccola per certe cose, come diceva qualche sua compagna ancor più timida. In quei giorni, specie di notte, la prima sensazione prevaleva. Adesso, mentre camminava verso la scuola, il pensiero di rivederlo l’angosciava. Non sapeva come rapportarcisi, cosa dirgli in classe. Lui voleva portarla al cinema quel pomeriggio, glielo aveva detto la sera avanti al telefono, mentre c’era quel film alla tv sugli alberi di cristallo. Non potevo certo tirarmi indietro. E poi al telefono era facile. Ma adesso? Dovrò baciarlo? Neppure so come si fa.
D’improvviso vide Pantaneto biforcarsi e in un attimo prese la decisione. Ecco come avrebbe fatto: avrebbe rimandato. Sì, adesso davvero non sono pronta, devo escogitare qualcosa. Neppure sapeva bene cosa, fatto sta che invece di proseguire a dritto verso la scuola, svoltò a destra infilandosi nel Vicolo degli Orefici.
Faceva un freddo cane ma aveva deciso: quel giorno non sarebbe andata a scuola. Non aveva mai fatto “festa”, a dire il vero nemmeno le sue amiche che tanto si atteggiavano a donne. Ma di fronte a quell’evenienza e alle paure dell’innamoramento, marinare la scuola sembrava una sciocchezza. Già il fatto di rimandare quel supplizio dell’inevitabile bacio pomeridiano la fece sentire immediatamente meglio. Sapeva che era una cosa stupida, che prima o poi avrebbe dovuto “togliersi il dente”, ma lo stesso adesso provava un sollievo insperato. Neppure sentiva più freddo, benché si fosse vicini allo zero.
Stette due ora nello scalino in fondo al vicolo a pensare a cosa dirgli il pomeriggio al telefono:
“Gianni, hai visto? Non ero a scuola, mi sono ammalata. Andremo al cinema la prossima settimana.” In tutto quell’arco di tempo avrebbe chiesto consigli e quant’altro alle amiche, alla mamma, perfino al babbo se fosse stato necessario.
Sì, mi ci vuole una settimana almeno. Passò un’altra ora con quel pensiero che la cullava. Almeno sarò preparata, farò un figurone.
Alle undici iniziò a nevicare. Dopo mezz’ora già non si vedeva più niente e Annalisa aveva le mani gelate. Iniziò a camminare avanti e indietro nel vicolino per scaldarsi, batteva i piedi a terra, ma pian piano quella situazione divenne insopportabile.
Devo andarmene da qui. Ovviamente non poteva tornare a casa.
In un bar! Con la speranza che non mi veda nessuno. Guardò l’orologio, le undici e dieci. Mancano due ore, se sono fortunata ce la faccio.

Uscì dal Vicolo degli Orefici che la neve batteva la via impetuosamente, faceva tutto bianco. Girò alla svelta in San Martino e si incamminò raso al muro, tutta imbacuccata nel cappotto. Stava a capo chino per non incrociare lo sguardo di nessuno e guardava solo i suoi piedi. A un tratto però sentì quella voce spaventosa.
“Anna!” Una vampata di calore la infiammò. Oddio!
I suoi occhi verdi e spiritati lo inquadrarono: Gianni!
“Gianni.” Balbettò senza voce.
“Che fai? Sono uscito due ore prima, avevo da fare un prelievo del sangue. Te, invece? Dai accompagnami, devo andare a prendere la ricevuta. Me la sono dimenticata all’ambulatorio.
“Io stavo poco bene stamani, non sono venuta a scuola.” Era tutta un fremito e il cuore tamburellava in petto.
Fecero duecento metri, lei taceva, mentre il ragazzo parlava soltanto della neve, di quanta ne stesse cadendo, di come l’amasse perché a detta sua “cambiava la faccia di Siena”.
Annalisa nemmeno l’ascoltava, non riusciva a pensare a niente. E poi la paura che qualcuno scoprisse che non era andata a scuola – camminavano a cento metri da casa sua. E l’emozione di trovarsi lì con Gianni e il dover per forza andare al cinema quel pomeriggio; non poteva più sfuggire dalla “questione del bacio”. Mi ha trovata sotto la neve, non posso inventargli niente. Menomale ha l’ombrello, riuscì solo a pensare quello, almeno nessuno mi vedrà. E così facendo si addossò ancora di più a lui.

Ma quell’accostarsi alle sue spalle infuse addosso al ragazzo una sorta di smania. Adesso erano ai Servi, di fronte alla chiesa. Camminavano lentamente sui lastroni di ghiaccio, e l’abete vicino alla scalinata, macchiato di bianco, pareva poggiato sulla neve senza che vi gravasse. Annalisa guardava di là dal muro dove s’alza la Torre del Mangia, ma la bufera aveva mangiato tutto l’orizzonte nascondendo mezza Siena. Il campanile dei Servi batté le dodici e i due sussultarono, si fecero vicinissimi e accadde proprio sotto la chiesa: all’improvviso si baciarono. Come nei film, pensò la ragazza, mentre la neve continuava a cadere sul sagrato e lontano sulla campagna, sulle mura e su di loro. Come nei film.

Mille pensieri le fiorivano in mente, e quegli stessi pensieri non riusciva a coordinarli con i movimenti della bocca. A tratti invece era invasa da ondate di caldo e si sentiva più sciolta.
Quei cinque minuti le parvero ore, tanto era felice e sollevata.
Lo avrebbe detto alle sue amiche, a tutte. Già si immaginava di pavoneggiarsi al telefono, e poi alla mamma! Ormai era una donna!
In fretta e furia salutò Gianni, nemmeno lo accompagnò all’ambulatorio, farfugliò qualcosa con un sorrisino ebete stampato in volto e prese a correre. Attraversò il giardino dei Servi già tutto imbiancato e corse in giù in Via Roma. Si immise nella grande strada: uno spettacolo splendido, tutto luccicava di piccoli cristalli via via più gialli verso il Ponte di Romana. Adesso l’amava anche lei la neve, come nei film, si ripeteva. Ripensava a quell’incontro improvviso, alle sue paure sciocche, all’essenza propriamente fisica di quel bacio. Rientrò in casa saltando gli scalini due a due. Pareva rinata e canticchiava qualcosa di allegro.
Ma nel momento in cui mise la chiave della toppa tutta quell’allegria scemò; spalancò la porta e vide la mamma sul divano. La donna dapprima sorrise, poi si fece serie e si alzò guardando Annalisa con aria interrogativa: d’un tratto la ragazza capì, fissò l’orologio a muro e alzò gli occhi al cielo, come per maledirsi.
“Perché non sei a scuola?”
In un attimo la ragazza ripensò alla frase di Gianni:
“Sono uscito prima, avevo una visita.”
Non aveva fatto bene i conti, quel bacio l’aveva confusa, avrebbe dovuto essere in classe!
La madre le ripeté la domanda, ma la ragazza restò muta, non trovava alcuna scusa, era immobile.
L’ultimo pensiero prima della sberla che la raggiunse fu Gianni, quel bacio sotto la neve immersi in una Siena bianchissima e splendida.
E quello schiaffo le bruciò un po’ meno.

 

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=YW4b2_Xpwbs

Non ci sono commenti

Lascia un commento

Articolo precendente

Per Forza o per…

In Civitas

Per Forza o per Lucrare!

Leggi

Prossimo articolo

Solite bestie - Il Palio…

In Poesie

Solite bestie - Il Palio e la Guerra

Leggi

Credo che l’uomo viva nel bisogno di raccontare e ascoltare storie: la propria, quella degli altri, quella di un dio. Così da sempre, forse per sempre. Probabilmente il non-senso della vita è racchiuso nel paradosso della scrittura: possedere estrema chiarezza ed estrema finzione al tempo, così che nelle sue affascinanti acque d’inchiostro non ci si stanchi di nuotare. Almeno a me fa questo effetto

Categorie

  • Civitas
  • Impressioni
  • Poesie
  • Racconti
  • Società
La risposta da Instragram non aveva codice 200.
La risposta da Instragram non aveva codice 200.
Minimali Arrosti

© 2025 Minimali Arrosti | Privacy Policy | Cookie Policy

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkCookie Policy